Quello che ricordo della prima elementare, oltre alla foto che la zia di Agnese ci scattò di soppiatto, appena preso posto nel banco, e che a quasi trent’anni di distanza da quel primo giorno in classe continua a tenere traccia delle mie guance paffute e ardenti, e del mio cattivo gusto in materia di acconciature in età scolare, è la pippa che ero (o che sentivo di essere), rispetto a tutti gli altri: nel fare i compiti, nel ripetere alla lavagna, nel prendere parola o nel rispondere alle domande dell’insegnante. Non ero brava. Non pensavo di essere brava.
Le mie paginette le facevo, le cornicette e i dettati erano in ordine, e così gli esercizi da fare a casa. Tutto sommato me la cavavo, ma non pensavo di essere brava e, in tutta onestà, non mi importava di esserlo. I miei compagni sembravano spigliati. Io mi sentivo goffa, sepolta dal velo polveroso di una timidezza cronica, e non spiccavo per nulla (impegnandomi al massimo per riuscire nell’impresa) in mezzo al gruppo.
Un giorno come molti altri, fu annunciato dalla bidella l’arrivo della nuova maestra d’Italiano. La donna smilza che ci sgridava per le sozzate che lasciavamo in giro, in un silenzio selvaggiamente precario, scagliò in aria un suono tutto nuovo, che a noi sembrò funesto: «Lamaestramanuela», tuonò; prima di smosciarsi come un flan e uscire di scena.
Lamaestramanuela era giovane. Più giovane di tutte le maestre che avessimo mai visto spicciarsi a tacchettate fra i corridoi tirati a lucido dell’Istituto. Era alta. Più alta di tutte le maestre che sapevamo avessero mai insegnato in quell’edificio. Ed era bella. Più bella di tutte. Neanche a dirlo.
Sta di fatto che mi prese di mira.
Iniziò, fermandosi due o tre volte al giorno accanto al mio banco, per dirmi che stavo facendo bene. Poi cominciò a lodare i miei disegni sgraziati e la mia grafia (che tuttavia pareva mostruosa, per attirare elogi); a trascinarmi in altre classi come un trofeo; facendo grandi chiacchiere di me con le insegnanti della scuola, sbalordite assieme a lei di quel talento. O di questo ricordo che parlassero, prima che di scatto si voltassero tutte, quel giorno della recita, puntando lo sguardo accecante nella mia direzione e allargando un sorriso che avrebbe dovuto essere magnanimo, ma che a me arrivava sinistro.
Lamaestramanuela disse più volte che ero “brava” (ad alta voce, davanti a tutti). Io volevo solo starmene tranquilla. Mi aveva presa di mira. E non mollò il colpo fino al giorno in cui quel “brava” svolazzante nell’aula non mi calò addosso come una giacca ben stirata. Insomma: fino al giorno in cui a quel “brava” detto così tante volte, non finii per credere anch’io.
Dopo di lei, fu tutta una strada in discesa verso grandi successi.
In quarta elementare, la maestra Florise ravvisò nelle mie poesie lo stile di una scrittrice siciliana che narrò di “donne che portano i pantaloni in casa” (non fu più specifica, e ancora oggi non so di chi parlasse); il maestro Rocco mi corresse una rima perché a suo giudizio non potevo sapere cosa significasse la parola “perito”, ma io alla fine lo sapevo, potei lasciarlo nel testo e lui rimase zitto zitto; la maestra Rita decretò che avessi vinto la gara dei verbi, perché non tentennai mai, nemmeno al participio passato di esigere (il mio intervento fu esatto); la professoressa Iafrate disse che il mio esame di terza media era stato un capolavoro. Ricordo che richiese al Ministero la copia per tenerselo in casa, ma so pure che non le diedero mai retta. E del liceo ricordo che, per quanto sedessi all’ultimo banco (fatto che non avrebbe dovuto compromettere il giudizio, ma quell’ultima fila fa uno strano effetto sulla psicologia degli insegnanti), e nelle materie scientifiche non fossi un quale astro, tutti i professori d’Italiano che si avvicendarono in cattedra in quegli anni avrebbero prima o poi accennato in qualche modo alla mia scrittura: commentando il buon esito di una prova; restituendomi, non senza un malcelato stupore, un compito da 10; interrogandomi più assiduamente degli altri, per sincerarsi con evidenza della mia propensione, e venendo puntualmente ricambiati a dovere della premura.
Lamaestramanuela mi aveva presa di mira. Dopo di lei nessuno avrebbe più potuto farlo. Avevo capito di avere un talento o, meglio, avevo capito che avrei potuto lavorare su qualcosa, studiare con passione una materia, approfondire un argomento, mettermi alla prova e coltivare un semino che lei aveva percepito potesse germogliare presto.
Aveva, lamaestramanuela, aperto un varco.
Ci sono stati tanti momenti della mia vita che ho poi capito avessero tutti avuto origine da quel “brava”. Da quella prima volta in cui qualcuno aveva acceso una lucina. E tante volte ho continuato a pensare all’importanza di quel gesto, alla grandezza di una piccola attenzione in più. Sarà forse anche per questo che anni dopo decisi di voler diventare un’insegnante e provare a fare lo stesso.
Non ho dubbi ci sia stata una maestra Manuela nella vita di ognuno di voi. Qualcuno che vi abbia detto “brava”, “bravo”, “stai facendo bene”, “continua così”. La mia aveva il viso d’angelo, toccava quasi il soffitto, e in quell’anno di supplenza riuscì ad aprire un varco in un mondo polveroso.
Alla maestra Manuela di ognuno. E alla mia,
Sara
Con l’idea di aprire un varco nel nostro piccolo, abbiamo creato uno spazio dove chiunque possa proporci le proprie storie. Lo lasceremo sempre aperto e potete leggerne da subito, qui.
4 comments
Ciao, è bello leggere le storie di incoraggiamento. troppo spesso ultimamente non ci si rende conto di quanto le persone che abbiamo incontrato o si incontrano A SCUOLA lascino un segno indelebile nelle vite delle persone. Nel mio caso la maestra lucia mi prese di mira alle elementari perché ero una bambina eccessivamente timida, ma invece di incoraggiarmi mi sbeffeggiava davanti a tutta la classe. tralascio le conseguenze che ha avuto su di me tale comportamento. ho dovuto aspettare la scuola media e trovare la professoressa lella, docente di matematica, per ritrovare l’autostima che mi era stata tolta.
Ciao, Monica! Grazie per questo bellissimo messaggio. Quanti insegnanti ho incontrato io, amici della tua maestra Lucia… Per una persona timida, o introversa, non è il massimo. Per fortuna, qualcuno mette sulla nostra strada anche persone come la tua Professoressa Lella. Alle maestre e ai maestri che cercano un varco!
Bellissimo questo racconto in cui mi sono riconosciuta in diversi tratti: anche io troppo timida, taciturna, sempre precisa, studiosa, alla ricerca della perfezione, lodata dalle maestre e portata in trofeo nelle altre classi. Situazioni che odiavo: non c’è cosa peggiore per un bambino timido che essere messo di fronte a bambini sconosciuti mentre un’altra maestra legge un tuo tema. Chissà quanti mi avranno odiato e si saranno chiesti: ma questa cosa vuole da noi? Ma come te, anche io conservo un buon ricordo di quelle maestre severe ma che sapevano rendere onore ai miei sacrifici; sono incontri che ti segnano, che ti plasmano. Lungo la strada incontrerai sempre qualcuno che tenterà con ogni sua forza di sminuirti, quindi facciamo tesoro di queste persone.
Ciao, Ilenia! Facciamone tesoro, concordo. In realtà, la mia maestra era dolcissima, non fu mai severa. E mi “prese di mira”, nel senso che capì la mia timidezza e volle perderci un po’ di tempo dietro. Andò a stanarla e mi fece sentire importante, nel piccolo. Dopo le sue attenzioni, capii che avrei dovuto impegnarmi ancora di più, perché quando trovi una persona che tiene a te, non vuoi deluderla. Poi, ce ne sono stati di insegnanti severi (e persone che non avrebbero dovuto fare gli insegnanti, ma gli impiegati statali o un qualche altro rispettabile lavoro di ufficio), ma la Maestra Manuela fu dolcissima. Che bello, leggere il tuo messaggio. Grazie!