È maggio, la primavera ha seminato di gialli la campagna vociante di cicale e il sole già picchia forte sulle cave di bauxite; le rovine dell’antica Glanum non concedono più ombra e i boschetti odorosi delle Alpille si riscoprono in fervore, insinuando il clamore di un’estate precoce e rovente. Scirocchi di timo e lavanda sono nell’aria e i mandorli insorgono in fiore, mentre campi di grano arsi dal vento si perdono a vista e i girasoli boccheggiano lungo la via. La natura è in un’estasi bruciante, nell’ora più bella in cui non s’ode che il canto dei grilli, e poi l’oblio di un sentiero battuto tra filari di cipressi, a poca strada da Saint-Rémy.
Saint-Paul de Mausole sembra svegliarsi da un lungo letargo, quando un giovane di 36 anni vi fa ingresso per la prima volta. In un sacco i pochi cambi da lavoro, in un altro le tele e i colori, e pennelli, cioccolato e tabacco che il fratello gli ha fatto recapitare quando viveva ancora ad Alres, nella piccola casa gialla assieme all’amico Paul. È frastornato, è tormentato e inquieto. È terrorizzato dall’idea di doversene stare lì, di non poter correre all’aperto, di dover esser sotto sorveglianza, di non potersi allontanare per una passeggiata alla prima ora della sera, o a quella più calda del giorno, e nemmeno all’alba.
E se non fosse il 1889 e quel giovane non fosse Van Gogh, la sua storia assomiglierebbe molto alla nostra.
In questi giorni di quarantena mi torna spesso in mente la Provenza. Le ore trascorse fra i paesaggi magnifici di un territorio che si aggrappa al cuore per sempre. E mi tornano in mente i colori sgargianti dell’artista olandese, e quel suo infinito tormento, e quel suo infinito talento.
Durante l’esilio al manicomio di Saint-Paul de Mausole, Van Gogh fu sempre sotto osservazione, impossibilitato a muoversi dalla struttura e col divieto di allontanarsi oltre i giardini del vecchio monastero; spesso chiuso a chiave e internato nella sua stanza: uno stretto spazio buio fra mura spesse, con una piccola finestra sul mondo recinta da grate.
E nonostante la sua condizione e le restrizioni imposte, e nonostante avesse sempre trovato faticoso e lacerante dipingere se non immerso nella natura, disgiunto dal suo soggetto adorato, nelle 53 settimane di isolamento Van Gogh darà alla luce 150 opere, tra cui uno dei più straordinari capolavori della storia.
Dipingerà la “Notte Stellata” senza averne avuto visione. Lo farà attingendo alla memoria di cieli e firmamenti osservati prima della reclusione, facendo riferimento ai disegni abbozzati nelle giornate di libertà in campagna, e immaginando un paesaggio notturno infiammato di stelle, un universo di “vasta pace e maestà” che dalla sua stanza non avrebbe mai potuto raggiungere.
Un capolavoro del genio, nato in quarantena.
Un particolare che mi torna alla mente adesso; ora che siamo anche noi confinati e, forse come Van Gogh, in cerca di consolazione.
La reclusione toglie, la reclusione dà. Gli spazi diventano percorsi della memoria, e il tempo un salto dell’immaginazione.
E se tornare alle storie e ai viaggi che abbiamo vissuto ci consola e tiene legati a un passato dal quale sentiamo di far ancora fatica a separarci, uno slancio creativo sarà il nostro ponte per il domani che verrà.
Van Gogh ha attinto dai ricordi, e ha costruito sui bianchi di un immaginario suo quei blu vivaci, astri vorticosi e colpi vigorosi sulla tela, restituendo un’immagine meravigliosa della natura. È anche per noi il momento di immaginarci un mondo nuovo, di sognare paesaggi mai visti e cammini sterrati che non sappiamo ancora. Di tornare a pensare da soli, di stare da soli, e anche in silenzio. Tempo di imparare con le mani, a colorare, a cucire, a impastare il pane. È il tempo che possiamo prenderci per dare peso alla fantasia, per svincolarci dallo schermo, e tornare a vedere a colori.
“Nulla so con certezza”, scriveva Van Gogh, “ma guardare le stelle mi fa sognare”.
È la stagione che ci rivelerà chi siamo.
Il momento dell’immaginazione, in una lunga notte. Stellata.
Sara
Editoriale, Maggio 2020
4 comments
Pensiero bellissimo che dipinge questo momento tormentato in cui nulla è certo, ancora più del solito; ed è In questa incertezza, in questo vivere la solItudine che dobbiamo attingere a tutta la nostra forza riponendo speranza in un domani di cui dobbiamo essere Solo noi gli artefici. perché da queste difficoltà Può nascere qualcosa di bello, deve; dobbiamo riscoprire le nostre passioni e costruire l’avvenire. Grazie
Grazie infinite, Ilenia. Proprio così! Dobbiamo sognare, lasciare spazio all’immaginazione e “guardare le stelle” :)
Mi piace molto questa tua scrittura delicata, che porta a una riflessione pROFONDa, ma non greve: un sussurro per l’anima, stordita dai rumori assordanti DEi nostri tempi.
Grazie, Cristina! Lo apprezzo moltissimo. Proprio quello che intendevo. Spegnere un po’ di rumori e provare ad ascoltare una musica nuova. Grazie per questo tuo messaggio!